A cura di Valentina Saletti
Longitudinal Association of Amyloid Beta and Anxious-Depressive Symptoms in Cognitively Normal Older Adults.
Donovan NJ, Locascio JJ, Marshall GA, Gatchel J, Hanseeuw BJ, Rentz DM, Johnson KA, Sperling RA; Harvard Aging Brain Study.
Am J Psychiatry. 2018 Jan 12:appiajp201717040442. doi: 10.1176/appi.ajp.2017.17040442. [Epub ahead of print]
Un recente articolo pubblicato sulla rivista American Journal of Psychiatry tratta di uno studio sulla comprensione del ruolo dei sintomi depressivi nella fase preclinica della malattia di Alzheimer, ossia ancora prima dell’insorgenza dei sintomi. Tale studio si prefigge di individuare l’associazione tra sintomi depressivi in anziani con normale funzionamento cognitivo e l’accumulo, a livello cerebrale, di beta-amiloide, proteina che sembra avere un ruolo significativo nell’insorgenza ed evoluzione della demenza di Alzheimer. Dai risultati è emerso come alti livelli di beta-amiloide nel cervello siano associati ad un peggioramento dei sintomi depressivi. Oltretutto è maggiore la correlazione con l’aumento di tali sintomi, nonché di quelli legati all’ansia, rispetto all’associazione con altri tipi di sintomi. Ciò supporta l’ipotesi secondo cui i sintomi depressivi e relativi all’ansia possono essere un fattore predittivo utile e un indicatore precoce nella fase preclinica della malattia. Alcuni ricercatori sostengono che l’ansia potrebbe anche essere un sintomo di disregolazione emotiva in tale fase e potrebbe anticipare fenomeni caratteristici della demenza di Alzheimer, come la depressione o altri cambiamenti nella manifestazione e nella gestione delle emozioni, nel temperamento o nel comportamento. Inoltre, secondo gli studiosi, dal momento che alcuni di questi sintomi possono essere comuni tra gli anziani, l’aumento di sintomi neuropsichiatrici rappresenta un fattore maggiormente predittivo se associato ad altri “segnali di allarme” del declino cognitivo, quali specifici marcatori biologici. Secondo i ricercatori, ulteriori approfondimenti che validano tali ipotesi, non solo potrebbero aiutare ad identificare le persone nella fase iniziale della malattia, bensì sarebbero fin da subito utili a rallentare o prevenire l’evoluzione della patologia stessa.
Potete trovare l’articolo originale al seguente link:
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29325447