Una recente revisione della letteratura scientifica ha evidenziato che i pazienti affetti da malattia di Alzheimer presentano oltre ad un declino cognitivo progressivo anche un aumento dell’incidenza degli episodi convulsivi. Studi su modelli animali dell’AD hanno mostrato che l’ iperproduzione e accumulo della proteina tossica beta-amiloide (Aβ), che gioca un ruolo centrale nella fisiopatologia della malattia di Alzheimer, sia in grado di causare attività cerebrale eccitatoria aberrante e convulsioni anche in fasi lievi di malattia ed in assenza di morte neuronale e sarebbe responsabile di alterazioni cognitive. Gli studiosi ipotizzano che tali alterazioni nell’attività cerebrale, solitamente considerate secondarie al processo di neurodegenerazione in combinazione con altri fattori correlati con l’invecchiamento, rivestano invece un ruolo di primo piano nel processo patogenetico della malattia di Alzheimer e nel declino cognitivo osservabile nei pazienti. Alcune osservazioni sembrano suggerire che tale ipotesi potrebbe essere trasferita dai modelli animali all’uomo.
Ovvero: l’incidenza di crisi epilettiche è chiaramente maggiore nelle forme sporadiche di AD, soprattutto ad insorgenza precoce ed in modo indipendente dallo stadio di malattia; la relazione tra convulsioni epilettiche e AD è ancora più evidente nelle forme familiari di malattia; nei portatori non dementi dell’apolipoproteina E4, il maggiore fattore di rischio genetico dell’AD, si osserva un’attività epilettiforme subclinica. L’ApoE4 esacerba l’epilessia e promuove la compromissione delle funzioni mnesiche; infine, in alcuni pazienti AD i fluttuanti episodi di amnesia episodica e di disorientamento sono stati associati a frequenti attività epilettiformi rilevabili all’EEG, tra l’altro trattabili preventivamente con farmaci antiepilettici. Se studi futuri sull’uomo dovessero confermare questa ipotesi, le cadute terapeutiche e cliniche sarebbero indiscutibili.