Domande Frequenti
Aiutare la persona malata nella quotidianità: è un bene o un male?
La malattia di Alzheimer, oltre a rappresentare una notizia sconvolgente per chi la riceve, comporta un notevole impatto non solo sulla persona malata ma anche sui familiari e sulle persone che se ne prendono cura (caregiver). Questa malattia si manifesta attraverso sintomi cognitivi (difficoltà di memoria e di linguaggio, di riconoscimento di oggetti, disorientamento), funzionali (difficoltà nello svolgere le attività della vita quotidiana) e comportamentali (agitazione, ansia, depressione) che con il tempo peggiorano. Quindi la persona malata con il progredire della malattia necessiterà di un’assistenza sempre più intensa e continua. D’altra parte i familiari dovranno pianificare le modalità assistenziali più adeguate secondo le diverse fasi della malattia.
È importante che alla persona malata sia permesso di svolgere in autonomia le attività che è ancora in grado di compiere e non ci si sostituisca alla stessa, almeno fino a quando ciò sarà possibile. Questo le permetterà di mantenere una buona percezione di controllo sulla propria vita ed evitare sentimenti di frustrazione. Si potranno fornire suggerimenti o aiuti, qualora se ne mostrasse la necessità, ma senza assumere un atteggiamento che dia un’impressione di controllo. Inoltre, è importante che la quotidianità della persona malata sia ordinata e prevedibile in termini di orari e attività; una routine semplice evita confusione e disorientamento.
È possibile alleggerire il peso della continua assistenza ad una persona malata?
Assistere un familiare affetto dalla malattia di Alzheimer non è certamente facile, per le difficoltà pratiche che si incontrano quotidianamente e la paura di non essere in grado di affrontarle, per il notevole carico emotivo legato alla situazione e per i sentimenti di rifiuto o la difficoltà nell’accettare la malattia. A questi si aggiunge poi lo sconforto e la sofferenza che si prova per il familiare affetto dalla patologia che “non è più quello di prima”. Si tratta di reazioni del tutto normali che i familiari di persone affette da queste forme di malattia vivono ogni giorno. A lungo andare, tutto questo potrebbe comportare una serie di ripercussioni sul piano fisico, emotivo e psicologico.
È quindi importante chiedere aiuto e impedire che la malattia diventi il centro della propria vita. È utile cercare di non isolarsi, perdendo contatti e relazioni sociali poiché questo peggiorerebbe la situazione rendendo ancora più gravosa l’assistenza al malato.
Innanzitutto, sarebbe utile che il carico pratico ed emotivo sia condiviso tra i familiari. Non bisogna pensare che sia meglio evitare ad altre persone problemi e preoccupazioni, in quanto alcune persone non entrano in contatto con il malato solo perché non sanno come gestire la situazione che si pone loro di fronte o per la sofferenza che suscita in essi vedere il proprio caro diverso da come l’hanno sempre visto. Per facilitare il loro coinvolgimento, si potrebbero organizzare delle regolari riunioni familiari in modo da condividere le proprie difficoltà, i propri sentimenti e le proprie emozioni e in modo da suddividere compiti e responsabilità tra i vari membri della famiglia.
Inoltre si potrebbero individuare nella propria zona di residenza quelle Strutture che si rivolgono ai familiari e alle persone che si occupano della persona malata (caregiver): Associazioni Alzheimer, in grado di fornire indicazioni utili per fronteggiare e gestire la malattia nelle sue diverse fasi; gruppi di mutuo-aiuto, che sono formate da persone che affrontano le stesse problematiche e con cui potrebbe condividere le proprie esperienze e sentimenti.
È importante infine che ci si ritagli un po’ di tempo per se stessi in modo da poter recuperare le energie fisiche e mentali che la situazione richiede.
È possibile intervenire precocemente contro l’Alzheimer?
È comprensibile che i familiari di persone affette dalla malattia di Alzheimer siano preoccupate di potersi un giorno ammalare della malattia che ha colpito una o più persone all’interno della propria famiglia. Le domande più frequenti che i familiari ci pongono riguardano infatti il loro rischio di poter sviluppare in futuro la malattia e se sia possibile intervenire precocemente. Per effettuare interventi preventivi è necessario stimare accuratamente il rischio di ammalarsi. Per fare questo, è necessario raccogliere dettagliate informazioni cliniche sia dell’interessato che della famiglia (casi di malattia presenti in famiglia, età di esordio ed evoluzione della malattia).
Le forme di malattia di Alzheimer possono essere schematizzate come segue.
Nella maggior parte dei casi (99%) la malattia di Alzheimer si presenta come “caso isolato” all’interno di una famiglia ed esordisce dopo i 65 anni: si parla in tal caso di Alzheimer di tipo sporadico e non implica ereditarietà. In circa l’1% dei casi, invece, può accadere che più persone della stessa famiglia manifestino la malattia di Alzheimer (es. fratelli, cugini) prima dei 65 anni: si parla in questi casi di demenza di tipo familiare ed è generalmente causata da una mutazione genetica autosomica dominante presente sin dalla nascita. I figli della persona portatrice della mutazione hanno ciascuno un rischio del 50% di ereditarla, indipendentemente dal sesso.
Più nello specifico, secondo una recente classificazione di Loy e collaboratori, pubblicata sulla rivista Lancet nel 2013 (http://dx.doi.org/10.1016/S0140-6736(13)60630-3), la probabilità di identificare una mutazione genetica nella persona malata è la seguente:
# Persone affette dalla malattia | Età di Insorgenza della malattia | Probabilità di identificare una mutazione genetica |
Persone malate in tre generazioni | < 60 anni (tutti) | 86% |
Almeno 2 familiari di primo grado malati | < 61 anni (almeno uno) | 68% |
Almeno 2 familiari di primo grado malati | < 65 anni (tutti) | 15% |
Almeno 2 familiari di primo grado malati | > 65 anni | < 1% |
Le mutazioni genetiche, ad oggi note, responsabili di alcune forme familiari di malattia di Alzheimer sono a carico dei geni APP (proteina precursore di beta-amiloide), PSEN1 (presenilina-1) e PSEN2 (presenilina-2).
Un ulteriore fattore di rischio genetico per le forme di Alzheimer ad insorgenza tardiva, sia familiare che sporadica, è stato identificato in una variante del gene APOE, che si chiama APOE-4. Le persone che ereditano almeno un gene APOE-4, da uno dei due genitori, hanno un rischio maggiore di sviluppare la malattia di Alzheimer rispetto alle persone che non lo ereditano. Tuttavia, non si può prevedere con assoluta certezza se la persona portatrice di APOE-4 svilupperà la malattia. Infatti alcune persone portatrici di APOE-e4 sviluppano la malattia ed altre no.
È possibile verificare la presenza di una mutazione genetica e determinare il genotipo APOE attraverso un prelievo di sangue sul quale vengono effettuate specifiche analisi di laboratorio.
Ulteriori indagini effettuate a scopo diagnostico sono quelle condotte sul liquido cerebrospinale e sulle immagini derivanti da scansioni cerebrali con tomografia a emissione di positroni. Questi non sono, tuttavia, esami routinari.
Sulla base delle considerazioni sopra esposte, seguono alcune indicazioni generali.
Se all’interno della famiglia sono presenti più casi di malattia ad esordio precoce è possibile che la stessa sia stata causata da una mutazione genetica. In tal caso, qualora la persona interessata volesse effettuare una indagine genetica per la ricerca di mutazioni (paziente o familiare a rischio), dovrebbe accedere ad una Consulenza Genetica. La Consulenza Genetica è un percorso comunicativo ed informativo guidato da una équipe formata da un Genetista, un Medico, e uno Psicologo, che permette alla persona che ne prende parte di decidere in modo autonomo e consapevole se affrontare tale percorso che comporta delle implicazioni non solo personali, ma anche familiari e interpersonali. Il test genetico (prelievo di sangue) viene effettuato prima sulla persona malata (test diagnostico). In caso di positività le indagini genetiche potranno essere condotte anche sui familiari a rischio (test pre-clinico o pre-sintomatico), qualora lo richiedano.
Se all’interno della famiglia si identificasse un caso sporadico di malattia non parrebbe indicato procedere ad indagini genetiche. In questi casi, se il familiare interessato manifestasse difficoltà cognitive, sarebbe indicata una visita medica, qualora non ancora effettuata. Se il familiare interessato non manifestasse alcun disturbo di memoria o altro disturbo cognitivo, non vi sarebbe l’indicazione ad intraprendere un percorso diagnostico. Tuttavia, lo stesso potrebbe rivolgersi al proprio Medico di fiducia per un consulto, qualora lo ritenesse opportuno.
Come vive la persona malata gli spostamenti da un familiare all’altro?
Venire a conoscenza della malattia di un proprio caro, comporta un riadattamento di tutto il nucleo familiare e sarà necessaria una riorganizzazione delle dinamiche familiari per potersene prendere cura. Spesso i familiari, soprattutto quando risiedono in località diverse, si alternano nell’accudire per periodi più o meno lunghi il proprio caro all’interno della propria abitazione, così da condividere tra loro il carico pratico ed emotivo dell’assistenza e le responsabilità che la situazione comporta. La persona malata si trova così costretta a ripetuti spostamenti da una abitazione all’altra e da un familiare all’altro e ciò provoca per lo stesso la continua necessità di adattarsi/riadattarsi ad un nuovo ambiente. Questa situazione può generare nel malato un senso di confusione, comune a tutte le persone nel momento in cui si trovano a dover cambiare ambiente, ma certamente più rilevante per le persone affette da determinate patologie. Il senso di disorientamento esperito si attenuerà nel giro di qualche giorno, non appena il nuovo luogo diverrà maggiormente familiare e la persona ristabilirà, assieme all’aiuto del familiare, la propria routine.
La decisione su quale sia l’ambiente o la modalità migliore di gestione della persona malata è una questione prettamente personale che dovrebbe essere affrontata da tutta la famiglia, ponendo al centro della scelta il benessere del proprio caro. Certamente sarebbe consigliabile mantenere un ambiente stabile attorno alla persona, sia in termini di luoghi che di legami affettivi, e che in caso di familiari residenti in luoghi diversi siano questi a muoversi piuttosto che far spostare periodicamente la persona malata. Tuttavia, ciò dipende molto da come la persona stessa vive questi spostamenti. Qualora ci si rendesse conto che la persona malata vive in modo negativo i continui trasferimenti o mostrasse sempre più difficoltà di adattamento al nuovo ambiente, sarebbe consigliabile stabilire una residenza definitiva.
È meglio assistere il proprio caro in casa o in RSA?
Decidere se continuare ad assistere il proprio caro in casa o se trasferirlo in una Struttura Residenziale (RSA) rappresenta una scelta che spesso i familiari della persona malata si trovano ad affrontare e che genera in essi un conflitto interiore. Si tratta di una decisione che deve essere effettuata in famiglia, non può essere una prescrizione medica. Le possibili considerazioni da fare riguardano le risorse disponibili e le energie che i familiari possono impiegare nonché le effettive possibilità di assistenza che possono offrire al malato. Prima o poi la scelta diventerà inevitabile, soprattutto quando la famiglia non ce la farà più ad assumersi il carico fisico ed emotivo e le responsabilità che la situazione comporta.
Perché la persona malata si comporta in modo aggressivo?
Le persone affette da demenza manifestano talvolta, oltre ai disturbi cognitivi, anche alterazioni comportamentali quali ansia, irritabilità e aggressività. L’aggressività, soprattutto verbale, viene spesso rivolta anche contro il familiare che maggiormente si occupa della persona malata, addolorandolo. È necessario tuttavia tenere presente che si tratta di un aspetto associato alla malattia. L’aggressività non è rivolta volontariamente verso il familiare, ma rappresenta una reazione difensiva verso un ambiente che probabilmente la persona malata non è più in grado di comprendere appieno e che viene vissuto come una minaccia. In tale condizione, le situazioni e i comportamenti altrui vengono spesso interpretati in modo erroneo provocando paura, frustrazione e rabbia alle quali conseguono tali comportamenti.
In questo contesto, potrebbe essere utile cercare di comprendere quali possano essere le situazioni che determinano agitazione e aggressività, in modo da potervi porre rimedio, anche mediante i suggerimenti del proprio Medico di fiducia. Potrebbero essere per esempio identificate delle attività tranquillizzanti, come l’ascoltare musica o fare una passeggiata, stando attenti a non forzare mai un’attività qualora non sia gradita dalla persona malata o non desideri effettuarla. È importante poi non reagire bruscamente all’atteggiamento non volontariamente aggressivo del proprio caro, ma cercare di ignorarlo. Quando ci si avvicina al malato, lo si dovrebbe fare con atteggiamento calmo e rassicurante, spiegando il motivo per il quale ci si sta rivolgendo a lui e l’eventuale attività da svolgere. È consigliabile porsi di fronte alla persona privilegiando il contatto fisico, come una carezza, qualora dovesse essere gradito. Meglio utilizzare un linguaggio chiaro e semplice e proporre delle attività semplici, per evitare sentimenti di frustrazione. Le manifestazioni di agitazione potrebbero anche derivare da un senso di disorientamento, dalla sensazione di sentirsi perso, situazioni che provocano nella persona ansia e disagio. Risulta quindi importante cercare di mantenere una quotidianità ordinata e prevedibile, con orari più o meno fissi e attività ripetitive. Una routine semplice evita confusione e disorientamento nella persona malata.
Bassa scolarità e rischio di sviluppare l’Alzheimer
In letteratura si rilevano evidenze contrastanti rispetto alla relazione intercorrente tra la bassa scolarità e il rischio di sviluppare deterioramento cognitivo e demenza: alcuni studi longitudinali riportano una relazione significativa tra scolarità e funzionalità cognitiva, mentre altri ritengono che il problema sia più complesso in quanto entrerebbero in gioco altre variabili a modulare tale relazione come l’età, il genere, l’etnia. È da sottolineare tuttavia che la scolarità di per sé non protegge dal rischio di sviluppare una forma di demenza. Le conoscenze e la cultura non vengono acquisite soltanto sui banchi di scuola, alla quale non tutti hanno potuto accedere, ma sono costantemente incrementate da qualsiasi stimolo, curiosità o esperienza che mantiene attiva la mente nel corso della propria vita. È quindi consigliabile mettere in atto quei comportamenti che possono aiutarci a mantenere, per quanto possibile, una buona funzionalità cognitiva. La malattia di Alzheimer ha un’eziologia multifattoriale, ossia diversi fattori concorrono a innescare il processo degenerativo del cervello. Ci sono alcuni fattori di rischio che vengono definiti non modificabili come la familiarità o l’età, mentre altri vengono definiti modificabili. Su questi ultimi è possibile intervenire: svolgere attività fisica regolarmente (es. camminare), assumere una dieta equilibrata, monitorare fattori di rischio cardiovascolare (diabete, obesità, fumo, ipertensione), mantenere attiva la mente attraverso la conservazione dei propri interessi e delle relazioni sociali, può contribuire a ridurre il rischio di deterioramento cognitivo e di demenza.
Prodotti “miracolosi” contro l’Alzheimer
Spesso su internet, ma anche sulla stampa e in televisione, si trovano notizie su prodotti o preparati che potrebbero avere effetti “miracolosi” sulla malattia di Alzheimer o altre malattie neurodegenerative. Purtroppo, nella maggioranza dei casi questi prodotti o non hanno seguito un percorso di sperimentazione clinica adeguato oppure sono stati testati solo su animali. Per tale ragione, non se ne conosce né l’efficacia, né i possibili effetti nocivi che potrebbero avere sulla salute della persona che li assume.
Per queste ragioni nonostante sia comprensibile che i familiari delle persone malate, in assenza di cure per questa malattia, pongano le loro speranze sui prodotti che vengono pubblicizzati per la loro accessibilità ed economicità, il consiglio è quello di seguire le indicazioni del proprio medico di fiducia e di non intraprendere percorsi alternativi prima di averlo consultato.
Frutta e verdura possono prevenire l’Alzheimer?
Una dieta equilibrata è importante non solo per controllare il nostro peso-forma, ma anche per garantire benessere al nostro cervello. La dieta rappresenta uno dei fattori legati allo stile di vita associato alla probabilità di sviluppare la malattia di Alzheimer. Il collegamento tra dieta e demenza rappresenta un campo di ricerche in continua crescita e molte evidenze scientifiche hanno mostrato come frutta e verdura giochino un ruolo importante per la conservazione della nostra salute cognitiva. Le verdure e i frutti di colore scuro sembrano essere un ottimo ausilio per il mantenimento dell’efficacia cognitiva. Non tutti in Italia sanno che, all’interno della campagna “Maintain your Brain” (Mantenete in forma il vostro cervello), l’Alzheimer’s Association (la più importante associazione non‐profit dedicata alla malattia di Alzheimer in America) ha redatto una lista di verdure e frutta che stimolano la salute cognitiva. Tra di esse ci sono la rucola, il cavolo nero, cinese e riccio, i cavolini di Bruxelles e la rapa (le cosiddette verdure “crucifere”), assieme al peperone, alla melanzana, alla cipolla ed agli spinaci (verdure “non crucifere”). Per quanto riguarda la frutta, vale la regola del “più è intenso il colore naturale, più la nostra salute ne avrà da guadagnare” e allora porte aperte a mirtilli, more, ciliegie, uva nera, arance, prugne, lamponi e fragole. Il loro potere è quello di essere ricche di antiossidanti protettivi contro l’invecchiamento e la morte cellulare, associata all’esordio della demenza e dell’Alzheimer.
Qual è il rapporto tra fattori ambientali (amianto, alluminio, rame...) e Alzheimer
Alcune sostanze che ritroviamo nell’ambiente come l’amianto, il ferro, il rame, l’alluminio, i solventi, i campi elettromagnetici, l’aspartame e altri ancora sono stati spesso associati al rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer. Si tratta tuttavia di fattori di rischio; non sono quindi da considerarsi la causa che può generare la malattia in quanto non è mai stato provato un legame diretto tra questi fattori e l’Alzheimer. Non tutte le persone che sono state esposte a specifici fattori ambientali hanno poi sviluppato i sintomi dell’Alzheimer. L’Alzheimer è una malattia complessa e di probabile genesi multifattoriale, i cui fattori ambientali e/o biologici sono ancora in gran parte da determinare.
Altro…
Per ottenere maggiori informazioni in merito alla malattia di Alzheimer è possibile visitare il nostro sito in cui sono disponibili informazioni sui farmaci attualmente disponibili per le persone affette dalla malattia di Alzheimer (clicca qui) e sulla riabilitazione cognitiva (clicca qui). Esistono diversi approcci riabilitativi a seconda del grado di decadimento del paziente affetto da demenza e delle funzioni che si vogliono, o è possibile, riabilitare. Lo scopo è quello di conservare il più a lungo possibile l’autonomia conservata nello svolgimento delle attività della vita quotidiana e le funzioni cognitive residue, fornendo ausili e strategie di compensazione per quelle abilità che sono oramai perse. È possibile inoltre visionare alcuni filmati esplicativi sulla malattia di Alzheimer e sulla riabilitazione cognitiva collegandosi a questo link.