A cura di Giulia Quattrini
Secondo un crescente numero di studi condotti sia in vitro che post mortem, esisterebbe un’associazione tra un eccessivo deposito di ferro a livello corticale e i biomarcatori per la malattia di Alzheimer (AD), ovvero placche di amiloide e grovigli neurofibrillari (NTs), e con il decadimento cognitivo. Il legame tra la regolazione dell’omeostasi del ferro e la formazione di NTs, tuttavia, resta ancora da chiarire. A tal proposito, uno studio recente ha analizzato l’associazione tra l’accumulo cerebrale di ferro e NTs in un’ampia coorte di 236 volontari (78 cognitivamente sani, 77 con decadimento cognitivo lieve e 81 con AD) con accertata amiloidosi cerebrale da analisi del liquido cerebrospinale. I partecipanti sono stati sottoposti a tau PET e QSM MRI, una particolare sequenza che permette di rilevare e quantificare i depositi di ferro a livello cerebrale. I risultati hanno evidenziato un’associazione sia globale che regione-specifica tra i quantitativi di ferro e NTs cerebrale, in particolare in aree vulnerabili ad AD (aree temporali, precuneo, corteccia cingolata posteriore, corteccia frontale mesiale, insula). L’associazione, infine, è risultata essere più forte per i partecipanti più giovani. Sebbene siano necessarie ulteriori studi, questi risultati suggeriscono che l’alterazione dell’omeostasi del ferro potrebbe rappresentare un nuovo target di intervento per futuri trials nell’AD.
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