A cura di Moira Marizzoni e Valentina Nicolosi

Uno studio pubblicato sul Journal of Alzhemer’s Disease e condotto dal nostro team dell’IRCCS Istituto Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia insieme ai colleghi dell’Università di Napoli, IRCCS Centro Ricerche SDN di Napoli, C.N.R. Istituto di Biostrutture e Bioimmagini di Napoli, dell’Università di Ginevra (UNIGE) e degli Ospedali universitari di Ginevra (HUG) in Svizzera conferma la correlazione, nell’uomo, tra uno squilibrio del microbiota intestinale e lo sviluppo delle placche amiloidi nel cervello, che sono all’origine dei disturbi neurodegenerativi caratteristici della malattia di Alzheimer. 

“Abbiamo già dimostrato che la composizione del microbiota intestinale nei pazienti con malattia di Alzheimer era alterata, rispetto alle persone che non soffrono di tali disturbi”, spiega il Professor Frisoni. «Inoltre, abbiamo anche scoperto un’associazione tra un fenomeno infiammatorio rilevato nel sangue, alcuni batteri intestinali e la malattia di Alzheimer; da qui l’ipotesi che qui abbiamo voluto testare: l’infiammazione nel sangue può essere un mediatore tra il microbiota e il cervello?»

«Per determinare se i mediatori dell’infiammazione e i metaboliti batterici costituiscono un collegamento tra il microbiota intestinale e la patologia amiloide nella malattia di Alzheimer, abbiamo studiato una coorte di 89 persone tra i 65 e gli 85 anni di età. Alcuni soffrivano del morbo di Alzheimer o di altre malattie neurodegenerative che causavano problemi di memoria simili, mentre altri non avevano problemi di memoria », riferisce Moira Marizzoni, ricercatrice presso il Centro Fatebenefratelli di Brescia e prima autrice di questo lavoro. “Utilizzando l’imaging PET, abbiamo misurato la loro deposizione di amiloide cerebrale e poi quantificato la presenza nel sangue di vari marker di infiammazione e proteine ​​prodotte dai batteri intestinali, come i lipopolisaccaridi e alcuni acidi grassi a catena corta”.

Lo studio prova l’associazione tra alcune proteine ​​del microbiota intestinale e l’amiloidosi cerebrale tramite un fenomeno infiammatorio del sangue. «I nostri risultati riportano che alcuni prodotti batterici del microbiota intestinale sono correlati con la quantità di placche amiloidi nel cervello», spiega Moira Marizzoni. “In effetti, livelli ematici elevati di lipopolisaccaridi e alcuni acidi grassi a catena corta (acetato e valerato) erano associati ad un segnale PET più elevato. Al contrario, alti livelli di un altro acido grasso a catena corta, il butirrato, erano associati a una minore patologia amiloide. ”

Tali risultati potrebbero in futuro avere implicazioni pratiche aprendo la strada a strategie preventive altamente innovative basate sulla modulazione del microbiota delle persone a rischio attraverso la somministrazione di un cocktail batterico, per esempio, o di pre-biotici per nutrire i batteri «buoni» nel nostro intestino.

“Tuttavia, dovremmo tenere i piedi per terra”, dice Frisoni. Va infatti ricordato che è prima necessario identificare e testare l’effetto delle possibili varietà del cocktail batterico. Inoltre, un effetto neuroprotettivo potrebbe essere efficace solo in una fase molto precoce della malattia, in un’ottica di prevenzione piuttosto che di terapia. Tuttavia, la diagnosi precoce è ancora una delle principali sfide nella gestione delle malattie neurodegenerative.

Link: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33074224/