A cura di Valentina Saletti
Un recente studio condotto alla Concordia University in Canada ha cercato di comprendere il ruolo della conoscenza di una seconda lingua in persone con malattia di Alzheimer (AD) o deterioramento cognitivo lieve (MCI). Sono stati coinvolti 68 pazienti con MCI e 26 pazienti con AD. In ciascun gruppo, la metà parlava una sola lingua mentre l’altra metà ne conosceva almeno due.
Servendosi di vari esami tra cui la Risonanza Magnetica, i ricercatori hanno indagato l’esistenza di differenze strutturali nei cervelli dei partecipanti.
Dai risultati è emerso che a parità di performance mnestica, gli AD poliglotti presentavano maggiore atrofia nelle aree dedicate alla memoria rispetto ai monolingue. Contrariamente, nelle stesse aree, gli MCI poliglotti avevano maggiore densità tissutale rispetto ai monolingue.
Nelle aree cerebrali deputate al controllo del linguaggio e al controllo cognitivo, i multilingue di entrambi i gruppi presentavano maggior densità tissutale rispetto ai monolingue. Rimarchevolmente, nei poliglotti tali aree sono risultate correlare positivamente con l’esecuzione di compiti di memoria episodica.
Complessivamente, i risultati indicano che parlare più lingue influisce positivamente sulla riserva cognitiva, intesa come la resilienza del cervello rispetto al danno cerebrale. Il multilinguismo costituisce quindi un fattore protettivo per l’AD perché sembra aumentare la densità di materia grigia e compensare la minore attività delle zone danneggiate stimolando l’utilizzo di aree cerebrali alternative. In sostanza, parlare più di una lingua sembra sostenere quindi il funzionamento della memoria e ritardare gli effetti cognitivi dell’atrofia correlata all’AD.
È possibile visionare l’articolo originale al seguente link:
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29287966