A cura di Elena Gatti

Carrarini C, Caraglia N, Quaranta D, Vecchio F, Miraglia F, Giuffrè GM, Pappalettera C, Cacciotti A, Nucci L, Vanacore N, Redolfi A, Perani D, Spadin P, Tagliavini F, Cotelli M, Cappa S, Marra C, Rossini PM; Interceptor Network.
Risk factors of dementia in a cohort of individuals with mild cognitive impairment in the Italian Interceptor project.
Eur J Neurol. 2025 Feb;32(2):e16591. doi: 10.1111/ene.16591. PMID: 39895250; PMCID: PMC11788538.

Uno studio italiano recentemente pubblicato sull’European Journal of Neurology, condotto nell’ambito del progetto Interceptor e promosso dall’AIFA e dal Ministero della Salute, ha seguito per tre anni 500 partecipanti con Mild Cognitive Impairment (MCI), arruolati consecutivamente in 19 Centri per i Disturbi Cognitivi e la Demenza (CDCD) italiani, tra cui il nostro Istituto, tra dicembre 2018 e ottobre 2020, con l’obiettivo di indagare le caratteristiche epidemiologiche e i fattori di rischio associati alla progressione verso la demenza. Al basale, tutti i partecipanti sono stati sottoposti a una valutazione clinica completa, comprensiva di età, sesso, anni di istruzione, storia familiare di malattie neurodegenerative, abitudini di fumo, comorbilità e svolgimento di attività fisica regolare (definita come almeno 150 minuti di attività moderata o 75 minuti di attività aerobica intensa alla settimana). Dal basale e per un totale di tre anni di follow-up, ogni sei mesi è stata effettuata una valutazione del funzionamento cognitivo globale e dell’eventuale conversione a demenza. Dei 356 soggetti che hanno completato il follow-up, 104 (circa il 30%) hanno ricevuto una diagnosi di demenza, mentre 252 sono rimasti stabili. L’analisi ha mostrato che età più avanzata, sesso femminile e punteggi MMSE più bassi al basale erano associati a un rischio significativamente maggiore di progressione, mentre un’attività fisica regolare si è confermata un fattore protettivo rilevante, con un rischio quasi dimezzato nei soggetti fisicamente attivi. Non sono invece emerse differenze significative per quanto riguarda il numero di anni di istruzione, l’abitudine al fumo o il fenotipo cognitivo dell’MCI (amnestico vs. non-amnestico). Il valore dello studio risiede non solo nell’ampiezza del campione e nella sua natura longitudinale, ma soprattutto nel messaggio chiave che trasmette: in assenza di cure risolutive, riconoscere precocemente chi è a rischio e agire tempestivamente sui fattori modificabili — in primis lo stile di vita — rappresenta oggi una delle strategie più concrete per rallentare l’evoluzione del declino cognitivo.

Potete trovare l’articolo originale al seguente link: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/39895250/