Nel corso degli ultimi decenni sono stati scritti ovunque fiumi di parole sull’Alzheimer, sui malati, sulla malattia, sui familiari, ne sono uscite storie stupende e struggenti che sono diventate diari per aiutare chi affronta la malattia soprattutto all’inizio, supporti psicologici per i caregiver, manuali d’informazioni, sceneggiature per film toccanti, ma certo non adatti ad un grande pubblico e quindi di solito un flop, come “Una sconfinata giovinezza” per Pupi Avati.
Anche forse l’ultimo romanzo in materia, “Il vecchio re nel suo esilio” di Arno Geiger, ed. Bompiani, colpisce direttamente il cuore: la storia di un padre e di un figlio che grazie proprio alla malattia si conoscono, si riconoscono, imparano a volersi bene, a parlare, a abbracciarsi, ad intenerirsi.
Ma tra tutti questi fiumi di parole, non si parla mai della cosiddetta fase terminale della malattia e di come la coscienza del caregiver non credente deve fare i conti tutti i giorni con il senso di mantenere una vita che tutto può essere ma certo non la vita di un essere umano, con la dignità che dovrebbe meritare. Certo ho letto, tra le tante cose che ho letto, che quei malati non vivono la fase terminale, perchè i terminali sono delle macchine che fanno certe cose, e non sono vegetali perchè le piante sono altre cose: è vero le piante ed i terminali sono altre cose, ma cosa sono quegli esseri? Nessuno mi parla di quella “fase” e nessuno mi dice come definire oggi mia madre dopo circa 18 anni di Alzheimer, ora che non cammina da 8 anni, non emette suoni simili ad una voce umana, è alimentata con del materiale chimico adatto non ad una persona ma ad una macchina, è un masso rigido che forse non vede e non sente neanche più: lei che era creativa, bellissima, alta, elegante, un vulcano di idee e di allegria, un corpo sinuoso e sano: non ricordo piá neanche come era, devo ricorrere già oggi alle foto per ricordare come era, perchè sono ormai talmente tanti anni che è cosà, che non la ricordo. E poi non l’ho vista invecchiare poichè l’Alzheimer l’ha rubata, insieme ad una fetta consistente della mia vita, quando era ancora “non anziana”.
Oggi, in questo torrido giorno di luglio, in cui sono a casa “badante a tempo pieno” nonostante le ferie dal mio impegnativo lavoro ed ho scoperto un piccolo decubito che ora mi toglie il fiato ed il sonno la notte, mi dà una minima energia la speranza che forse la mia mamma mi sente, mi avverte, mi vuole bene ancora e quella smorfia che ogni tanto mi lancia, vuole essere un sorriso.
Di solito non sono cosà negativa! anzi il mio ruolo nel volontariato, che ho scoperto con l’Alzheimer, mi impone di essere propositiva e un nuovo amore nella mia vita ha ridato fiducia nel mio futuro. Resto sempre a disposizione di chi volesse un confronto con me, un aiuto, un consiglio: sono un bravo ed efficace caregiver!
Grazie se mi avete letto fin qui, se non pubblicherete questo scritto e anche se non mi darete risposte.
Maria Adelaide