Ho vissuto in famiglia 2 casi di Alzheimer: mia madre e mia suocera.
Due donne simili per cultura e abitudini, anche se una era più intellettuale e attiva politicamente, l’altra molto più mondana ma impegnata.
Ambedue seguite dal Fatebenefratelli, con una cura iniziale pressochè identica per medicinali e per approccio.
La differenza si è evidenziata nel momento delle decisioni “a bisogno”, perchè chi segue il malato in casa decide quale è “il bisogno”, generalmente il proprio bisogno e non quello del malato, perchè entra in gioco la capacità del caregiver di vivere le variazioni dell’umore e della capacità intellettiva del suo malato.
Non sono una sostenitrice del “tutto al massimo” nei medicinali, ma neanche del “minimo al naturale”. Penso che sia giusto un “mix” di medicinali, che bisogna costantemente variare aggiungendo e togliendo, usando quelli giusti per il sintomo di quel momento, cambiarli e provare di nuovo.
Si deve sempre tenere a mente il confort di chi è malato, perchè è lui quello che bisogna aiutare nel lunghissimo cammino che deve percorrere, non il livello di dedizione, amore, impegno, sopportazione, sacrificio… di colui che si occupa del malato.
Non penso che il risultato nel lungo andare sia diverso, le tappe sono le tappe, ma diverso è il cammino.
Pia