A cura di Valentina Nicolosi
Una ricerca pubblicata nella rivista Brain rafforza l’evidenza che la neuroinfiammazione sia implicata nella malattia di Alzheimer (AD). In tale patologia neurodegenerativa l’accumulo della proteina β-amiloide e l’iperfosforilazione della proteina Tau formano, rispettivamente, placche senili ed ammassi neurofibrillari.
Il sistema immunitario identifica queste alterazioni come “minaccia” e provoca una reazione infiammatoria per neutralizzarle. In questo contesto, le cellule della microglia, deputate alla “sorveglianza immunitaria”, assumono una duplice valenza. Inizialmente svolgono un ruolo protettivo che contrasta l’amiloidosi e rimodella le connessioni sinaptiche. Infatti, per effetto di meccanismi di fagocitosi e di citotossicità, l’attivazione microgliale distrugge le placche e i detriti cellulari. Tuttavia, se protratta, l’infiammazione favorisce la progressione della malattia. Un eccessivo rilascio di fattori citotossici colpisce indistintamente anche i neuroni sani, sortendo effetti neurotossici e neurodegenerativi.
Nello studio, 42 partecipanti affetti da decadimento cognitivo lieve (MCI) e 22 volontari sani sono stati sottoposti a due tipi di PET in grado di evidenziare, rispettivamente, il deposito di β-amiloide (11C-PiB PET) e l’attivazione microgliale (11C-(R)-PK11195 PET). I risultati mostrano che gli MCI positivi allo scan per l’amiloide (ossia quelli con maggior rischio di progressione ad AD) mostrano un accumulo di cellule microgliali a livello cerebrale, con un pattern sovrapposto al deposito di amiloide. Pertanto, la ricerca conferma il contributo determinante della neuroinfiammazione nella patologia neurodegenerativa degli MCI. Di conseguenza, la sfida del futuro potrebbe consistere nel trattare l’AD in fase prodromica con farmaci anti-infiammatori.
Potete trovare ulteriori informazioni al seguente link.
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28575151