A cura di Cristina Festari
L’introduzione della cosiddetta Terapia della bambola (in inglese, doll therapy) presso l’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino è stata ampiamente pubblicizzata dai quotidiani nazionali. La doll therapy, diffusasi negli anni ‘80 negli USA e in Australia, consiste nell’affidare la cura di una bambola con specifiche caratteristiche (peso, nelle dimensioni, nei tratti somatici e persino nella posizione di braccia e gambe) a un paziente con disturbi psichiatrici o neurodegenerativi, che ne diventa responsabile e con cui gradualmente costruisce quello che si può definire un rapporto di attaccamento. I primi utilizzi in pazienti geriatrici risalgono al 2001 e ad oggi è considerato un trattamento non farmacologico additivo per le gestione dei disturbi comportamentali.
Ma quale è la sua efficacia? La risposta viene da una recente pubblicazione di un gruppo di ricercatori padovani i quali hanno testato l’efficacia delle bambole in 32 pazienti con demenza grave, confrontando un gruppo esposto alla doll therapy con un gruppo di controllo. Dopo 20 incontri, solo i pazienti che avevano “giocato” con le bambole mostravano una riduzione statisticamente significativa dei disturbi psichiatrici/comportamentali, quantificati attraverso scale apposite.
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