Grotz C. et al. (2015)
Retirement Age and the Age of Onset of Alzheimer’s Disease: Results from the ICTUS Study.
PLoS One. 10(2):e0115056.
Negli anni scorsi un corposo numero di articoli scientifici hanno sostenuto che ci fosse una associazione predittiva tra la riserva cognitiva e lo sviluppo della demenza nelle persone anziane. In particolare, un alto livello di istruzione, uno stile di vita attivo, il bilinguismo e una attività lavorativa complessa sono stati ripetutamente associati alla diminuzione del rischio di sviluppare la malattia e ad una più tardiva insorgenza dei sintomi. Un ambiente professionale arricchente fornisce un importante fonte di supporto sociale così come, l’impegno in attività cognitivamente stimolanti possono contribuire ad incrementare la riserva cognitiva e il senso di auto-efficacia personale. Lasciare l’ambiente lavorativo è una delle maggiori transizioni del ciclo vitale e causa cambiamenti sostanziali nella vita di ciascuno di noi, cambiamenti che possono intaccare il livello di funzionamento cognitivo. L’obiettivo di questo studio era quello di verificare se il pensionamento posticipato fosse associato ad un ritardo nell’insorgenza della malattia di Alzheimer (AD) e, in caso affermativo, di determinare se l’età di pensionamento poteva predire l’età di insorgenza dell’AD. Per far ciò si sono analizzati i dati provenienti dall’ Impact of Cholinergic Treatment Use/Data Sharing Alzheimer cohort (ICTUS/DSA), uno studio longitudinale europeo a cui ha partecipato anche il nostro Istituto. Le analisi globali su 815 pazienti con diagnosi di AD lieve o moderata hanno rivelato che vi era una correlazione positiva tra l’età di pensionamento e quella di diagnosi: ovvero, al crescere dell’età di pensionamento cresceva anche l’età del soggetto al momento della diagnosi. In altre parole, ogni anno di lavoro “aggiuntivo” ritardava di circa 3,5 mesi l’età di insorgenza dei primi sintomi della malattia. La forza di questa associazione sembra essere stata, fino ad oggi, sovrastimata e prima di concludere che il pensionamento posticipato potrebbe avere un effetto protettivo sull’invecchiamento, restano alcune questioni da chiarire. Per esempio, studi futuri dovrebbero cercare di capire se l’associazione tra pensionamento e cognizione è una associazione diretta o se è mediata da variabili quali il supporto della rete sociale, la depressione o la diminuzione del senso di autoefficacia. Inoltre, resta da spiegare se l’impatto del pensionamento sul funzionamento cognitivo potrebbe dipendere anche da differenti tipi di pensionamento (volontario o involontario), dalla partecipazione ad attività cognitivamente stimolanti extra-lavorative o dal tipo di attività professionale che si svolgeva (lavoro fisico o intellettivo).