Rolandi E. et al. (2015)
Efficacy of lifestyle interventions on clinical and neuroimaging outcomes in elderly.
Ageing Res Rev. 25:1-12.
La malattia di Alzheimer (AD) è la forma più comune di demenza ed il numero di persone che ne sono affette è in costante aumento. Ad oggi, non si conosce nessun trattamento efficace per questa patologia ma tecniche sempre più avanzate facilitano una diagnosi precoce e permettono di indagare gli stadi preclinici della malattia, cioè le fasi in cui sono presenti delle alterazioni cerebrali tipiche dell’AD (depositi di proteina beta-amiloide e placche neurofibrillari) senza evidenza di sintomi clinici. L’obiettivo è quello di ritardare l’insorgenza della patologia in soggetti a rischio. Infatti, alcuni studi hanno mostrato che un terzo dei casi di malattia di Alzheimer potrebbe essere attribuito a fattori di rischio modificabili come diabete, ipertensione, obesità, inattività fisica, abitudine al fumo, depressione e bassa scolarità ed è stata avvalorata l’ipotesi che alcuni fattori ambientali modificabili possano accelerare o ritardare l’insorgenza della malattia. Nello specifico, alcuni studi osservazionali hanno mostrato un’associazione tra diverse abitudini quotidiane, come alti livelli di attività fisica e cognitiva o l’aderenza a pattern alimentari specifici, e un minor rischio di sviluppare declino cognitivo e demenza. Tali risultati hanno aumentato l’interesse della comunità scientifica e della sanità pubblica su interventi non farmacologici atti a promuovere uno stile di vita sano quale strategia di prevenzione contro declino cognitivo ed AD. In questa revisione della letteratura, alcuni ricercatori del nostro laboratorio, hanno passato in rassegna e analizzato criticamente l’efficacia dei vari interventi non farmacologici sia sulle funzioni cognitive che su alterazioni della struttura e della funzionalità cerebrale in anziani sani ed hanno osservato che, in questo gruppo di persone, gli interventi non farmacologici su uno o più domini dello stile di vita promuovono miglioramenti cognitivi a breve termine. Tuttavia, alcune debolezze metodologiche riducono la generalizzabilità dei risultati e sono necessari, quindi, ulteriori studi per dimostrare l’appropriatezza e l’efficacia di questo tipo di interventi. Se questi positivi risultati preliminari venissero confermati, la sanità pubblica e le organizzazioni sanitarie potrebbero essere in grado di pianificare interventi atti a prevenire il declino cognitivo in persone anziane a rischio, riducendo il carico della malattia sulla società, anche in termini di costi sul sistema sanitario nazionale.