Vos SJ et al. (2013)
Preclinical Alzheimer’s disease and its outcome: a longitudinal cohort study.
Lancet Neurol.12:957-965.
I nuovi criteri per la diagnosi della malattia di Alzheimer (AD) da poco proposti hanno identificato 3 nuovi stadi di malattia a livello preclinico in persone cognitivamente integre. Lo stadio 1 è caratterizzato dalla presenza di positività a marcatori di beta-amiloide; lo stadio 2 dalla positività a marcatori di beta-amiloide e di neurodegenerazione; lo stadio 3 dalla positività a marcatori di beta-amiloide e di neurodegenerazione con presenza di un sottile deficit cognitivo. Obiettivo dello studio è stato quello di identificare la prevalenza e l’esito a lungo termine dello stadio preclinico di AD tenendo in considerazione i criteri recentemente proposti. Persone cognitivamente integre sono state seguite dal 1998 al 2011; per tutti i partecipanti sono stati raccolti i marcatori biologici di malattia di Alzheimer misurando i livelli di beta-amiloide e tau nel liquor cerebrospinale. Sulla base del profilo dei marcatori e del loro stato cognitivo i soggetti sono stati suddivisi come normali, appartenenti agli stadi 1-3 di AD preclinico o facenti parte di un gruppo affetto da patofisiologia non tipica per AD (presenza di danno neuronale ma non di amiloidosi). Dei 311 partecipanti il 41% è stato classificato come normale, il 15% allo stadio 1, il 12% allo stadio 2 ed il 4% allo stadio 3. Il 23% degli individui ricadeva nella categoria di persone affette da patofisiologia non tipica per AD. A 5 anni dalla prima valutazione il 56% degli individui classificati come rientranti nello stadio 3 alla prima visita, è clinicamente peggiorato, mentre per solo l’11 ed il 26% rispettivamente degli individui classificati come rientranti nello stadio 1 e 2 alla prima visita, c’è stato un peggioramento clinico. Nel gruppo affetto da patofisiologia non tipica per AD viceversa solo il 5% è peggiorato. Questi risultati avvalorano l’ipotesi che individui cognitivamente integri allo stadio 3 di AD preclinico siano più a rischio di declino cognitivo; queste persone potrebbero rappresentare un ottimo target per studiare nuovi farmaci efficaci nel contrastare l’avanzata della malattia.