A cura di Valentina Saletti
In un recente articolo pubblicato sulla rivista Terra Nuova diversi studiosi hanno sottolineato la necessità di un nuovo approccio alla malattia di Alzheimer, che vada oltre la sola terapia farmacologica. Il Prof. Shuvendu Sen, che dirige l’Internal Medicine Residency Program al Raritan Bay Medical Center della Meridian Hackensack University (USA), sostiene che “(..) per un’entità così completa, infinita e invisibile come la memoria, farmaci o procedure si mostrano futili e ridondanti”. Con questa affermazione si intende prendere in considerazione la malattia di Alzheimer nella sua complessità, ponendo l’accento su vari aspetti. A tal proposito il Prof. Giovanni Frisoni, neurologo e responsabile della Clinica della Memoria di Ginevra, afferma che “l’approccio farmacologico è incompleto, c’è bisogno di una risposta articolata e complessa, a partire dall’educazione dei familiari, necessaria per migliorare la qualità di vita del malato”. Spesso la famiglia del malato di fronte ai primi sintomi inizia l’interminabile ricerca di cure; come sostiene il Prof. Marco Trabucchi, direttore scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia e presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria “il medico deve spiegare che quel malato ha bisogno di tutta la vicinanza possibile dei familiari (..) bisogna creare un ambiente sereno, collaborativo, stimolante, riducendo ansia, depressione e tutto quanto può aggravare il declino cognitivo”. Ciò è in linea con il pensiero del Prof. Frisoni secondo il quale, quindi, è importante puntare sull’educazione dei familiari alla relazione, così da consentire una qualità di vita migliore al malato. Inoltre, come ribadisce Trabucchi, è fondamentale che anche chi si prende cura del proprio caro trovi l’aiuto e il sostegno di cui ha bisogno, tuttavia come lui stesso afferma “(..) su questo fronte le reti attive sui territori devono irrobustirsi non poco”.
Potete trovare l’articolo originale al seguente link:
https://www.terranuovalibri.it/fascicolo/dettaglio/terra-nuova-maggio-2021-9788866816171-236574.html
Buon pomeriggio.
Ringrazio sempre della vostra attenzione anche nel rispondere alle domande di chiarimento che vi vengono poste. I familiari di persone affette da questa malattia sono ansiose di qualsiasi notizia che possa interessare il problema legato alla malattia stessa. Altra riflessione successiva alla pubblicazione dell’approvazione del l’anticorpo monoclonale ADUCANUMAB da parte dell’agenzia del farmaco Americana che ha dimostrato l’efficacia del farmaco allo scioglimento della proteina betamiloide, di fatto ripulendone il cervello, ma senza procurare un miglioramento nelle capacità de soggetto interessato. Io penso che si dovrebbe accentrare la sperimentazione di ricerca ABBINANDO questa terapia con quella più avveniristica con cellule staminali, in quanto metre la prima ripulisce il cervello, la seconda dovrebbe stimolare la riparazione del danno subito.
Innanzi tutto ringrazio per la risposta e sottolineo che c’è un grande bisogno dello scambio di informazioni con persone qualificate che alleggeriscono il senso di solitudine proprio delle persone che accudiscono un familiare malato di alzheimer.
Recentemente ho preso contatto con XXX che promuove e adotta la terapia con cellule staminali mesenchimali. Data l’alta professionalità riconosciuta del Vostro centro, chiedo cortesemente se avete informazioni in proposito e con quale approccio ci si deve avvicinare a questo tipo di sperimentazione avveniristico per non cedere a false illusioni e a negative ripercussioni di carattere sanitario. In Italia credo che questa terapia non sia praticabile. Ringrazio per l’attenzione inviando cordiali saluti.
Caro lettore,
La ringraziamo per la fiducia accordataci e per l’interesse sul tema. La terapia con cellule staminali è di sicuro interesse: numerosi studi preclinici (cioè effettuati non sull’uomo, ma su modelli animali di malattia di Alzheimer) hanno evidenziato il potenziale di questa terapia nel migliorare le alterazioni patologiche cerebrali tipiche della malattia. Tuttavia, dagli studi preclinici alla terapia sul malato passano molti anni (anche più di 10) di studi sperimentali sull’uomo, per verificare sicurezza ed efficacia del trattamento. La terapia con cellule staminali mesenchimali è stata finora valutata in una decina di studi clinici sperimentali sul malato senza, per il momento, evidenze positive di miglioramento. I problemi sono molteplici, inclusa la via di somministrazione della terapia. La ricerca, comunque, prosegue anche in questo campo.
L’approccio è sempre quello di rivolgersi a strutture e personale qualificato e certificato nella conduzione di studi sperimentali, che garantiscano che la sperimentazione abbia ottenuto l’approvazione degli enti regolatori del farmaco e di un comitato etico.
A disposizione per ulteriori chiarimenti.
Lo Staff del sito Centro Alzheimer
Carissimi,
vorrei sapere se Donanemab è in sperimentazione presso il vostro istituto di ricerca.
Cordiali saluti Gina Bertozzi
Gentilissima sig.ra Bertozzi,
purtroppo Donanemab non è al momento in sperimentazione presso il nostro Centro.
Lo staff del sito Centro Alzheimer
Mi permetto di interferire con quanto letto. Credo che chiunque abbia una persona cara affetta da alzheimer abbia un atteggiamento consono alla situazione, con tutte le difficoltà del caso. Riguardo alle terapie somministrate siamo noi i primi coscienti del fatto che rappresentano palliativi e non sono certo risolutori delle problematiche presenti, ma è opportuno anche credere che se è vero della scarsa conoscenza del meccanismo della memoria, bisogna pensare che il cervello è un organo con delle funzioni che non sono soprannaturali, ma come altri organi del corpo sono regolate da meccanismi ancora poco conosciuti, quindi è bene impegnarsi alla comprensione approfondita per trovare rimedi e soluzioni.
Gentile Carlo, la ringraziamo per le sue riflessioni.
Alcune precisazioni sono però doverose.
I famigliari di persone affette da malattia neurodegenerativa dementigena, i cosiddetti caregiver informali, attuano quelle strategie e quei comportamenti che in buona fede ritengono consoni per il benessere del proprio caro. Tuttavia, non sempre è facile gestire i sintomi comportamentali della malattia e l’impatto emotivo che questi comportano. Al fine di promuovere il benessere della diade caregiver-malato e prolungare la degenza al domicilio, molte associazioni e numerosi CDCD (Centro per i Disturbi Cognitivi e le Demenze) organizzano corsi psicoeducazionali. Si tratta di cicli di incontri in gruppi in cui, attraverso il confronto tra esperti e altri caregiver, si acquisiscono informazioni sulla malattia, sulle strategie di gestione dei disturbi comportamentali, sulle necessità di supporto emotivo del caregiver. Gli esperti intervistati da Terra Nuova sottolineano l’importanza di rafforzare e diffondere in modo capillare questo tipo di intervento che rende più “esperti” i famigliari.
I farmaci attualmente in commercio sono sintomatici, ossia cercano di rallentare il decorso della malattia ma non agiscono sui processi che la generano. La ricerca su questo ultimo tipo di farmaci non si è mai arresa, anche se i successi tardano ad arrivare. Solo qualche giorno fa sono stati pubblicati ad esempio i risultati sull’efficacia di Donanemab, un anticorpo che colpisce la proteina amiloide. Molti studi si stanno concentrando anche sul microbiota intestinale, sui fattori di rischio modificabili, su trattamenti non farmacologici. Il mondo scientifico non ha mai interrotto lo studio del funzionamento, normale e patologico, del cervello.
Lo staff del sito Centro Alzheimer