A cura di Evita Tomasoni

The clinical practice of risk reduction for Alzheimer’s disease: A precision medicine approach.
S. Isaacson, C. A. Ganzer, H. Hristov, K. Hackett, E. Caesar, R. Cohen, R. Kachko, J. Melèndez-Cabrero, A. Rahman, O. Scheyer, M.J. Hwang, C. Berkowitz, S. Hendrix, M. Mureb, M. W. Schelke, L. Mosconi, A. Seifan, R. Krikorian.
Alzheimers Dement. 2018 Dec;14(12):1663-1673. doi: 10.1016/j.jalz.2018.08.004. Epub 2018 Nov 13.

L’area di indagine relativa alla prevenzione della malattia di Alzheimer (AD) sta prendendo sempre più piede negli ultimi anni. È ormai noto che il processo patologico che porta alla progressiva perdita di neuroni inizia decenni prima della comparsa dei sintomi clinici di malattia. Durante questa finestra temporale vi sono numerose opportunità di intervento precoce. Studi scientifici stimano che un terzo dei casi di AD possano essere attribuiti a fattori di rischio modificabili, sui quali è possibile intervenire. In un recentissimo articolo pubblicato sulla rivista internazionale Alzheimer’s & Dementia, un gruppo di ricercatori americani ha utilizzato interventi multimodali, ossia interventi che considerano contemporaneamente numerosi fattori di rischio e che sono personalizzati su ogni individuo, per verificare se possano aiutare a ridurre il rischio di sviluppare AD. In particolare, i ricercatori descrivono una nuova metodologia clinica, che si basa sui principi della medicina clinica di precisione, e che è stata utilizzata per valutare e trattare pazienti a rischio di AD in due cliniche americane di prevenzione della malattia. Questa metodologia è definita come “un approccio emergente per il trattamento e la prevenzione delle malattie che tiene conto della variabilità individuale dei geni, dell’ambiente e dello stile di vita di ogni persona”. In particolare i fattori oggetto dell’intervento di prevenzione (definiti l’ABC della prevenzione dell’AD) includevano la valutazione di A: misure antropometriche (percentuale di grasso corporeo, rapporto vita-fianchi); B: biomarcatori misurati nel sangue (analisi genetiche, profilo lipidico, infiammatorio, metabolico); C: cognitività (test neuropsicologici). I risultati preliminari hanno dimostrato che questo tipo di intervento è fattibile e porta a miglioramenti misurabili nella cognitività e nei biomarcatori indicativi del rischio di AD.

Analogamente agli sforzi di ricerca nel campo delle malattie cardiovascolari e della prevenzione dell’ictus, sarà presto possibile determinare se la valutazione del rischio e l’intervento precoce, utilizzando l’approccio di medicina clinica di precisione, possano ridurre efficacemente il rischio di AD e migliorare gli esiti dei pazienti.

È possibile visionare l’articolo al seguente link:

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/30446421