A cura di Roberta Baruzzi
L’utilizzo della tecnica degli ultrasuoni (UT) nella malattia di Alzheimer (AD), patologia caratterizzata dalla presenza di aggregati extracellulari di proteina beta-amiloide (Aβ), è stata proposta di recente come un possibile approccio per la cura dell’AD.Uno studio del 2015 condotto su topi transgenici portatori di Aβ da un gruppo di ricerca australiano aveva infatti dimostrato come l’utilizzo di una tecnologia non farmacologica a UT permettesse di oltrepassare la barriera ematoencefalica (BBB) [una barriera protettiva che regola il passaggio di sostanze tra sangue e tessuto cerebrale], di influenzare l’azione della microglia (cellule con funzione immunologica) per fagocitare le placche di Aβ. Sulla popolazione murina l’utilizzo degli UT si è rivelato un metodo sicuro e non invasivo, mostrando una riduzione di Aβ nel 75% dei topi sottoposti a trattamento e un miglioramento nelle loro prestazioni ai test di memoria spaziale e di riconoscimento.
Se questa metodica possa funzionare anche negli umani resta tuttavia da dimostrare. Ad oggi, un passo in questa direzione è stato fatto grazie a uno studio pilota sugli umani condotto da un gruppo di ricerca canadese e pubblicato sulla rivista Nature Communications. Questo studio, utilizzando la tecnica degli UT focalizzati guidati da risonanza magnetica (MRgFUS) in 5 soggetti con AD, positivi ad Aβ, ha dimostrato per la prima volta che la BBB può essere aperta in maniera reversibile senza registrare eventi avversi negli umani. Tuttavia, a differenza degli studi sui topi, non sono emersi cambiamenti significativi sui depositi di Aβ. Al di là delle limitazioni legate alla bassa numerosità del campione, gli autori sostengono che il risultato di questo studio sia un passo importante a supporto della fattibilità e sicurezza di questa tecnica e per consentire l’avviamento di ulteriori studi in tale direzione.
Gli articoli di riferimento sono disponibili ai seguenti link: