Ad oggi, la teoria più accreditata sulla causa della Malattia di Alzheimer (AD) suggerisce che l’eccessiva produzione e accumulo della proteina β -amiloide (Aβ) nel cervello sia responsabile di una serie concatenata di eventi che hanno come esito finale la morte dei neuroni e i disturbi cognitivi che conducono a demenza. Una recentissima revisione della letteratura scientifica pubblicata su Molecular Psychiatry sintetizza i progressi nella cura della malattia con la vaccinazione anti-amiloide, come terapia che vada oltre l’effetto sintomatico degli attuali farmaci disponibili. Il vaccino agisce bloccando la sintesi della proteina beta-amiloide e può essere somministrato in modo attivo o passivo. La vaccinazione attiva presuppone che il vaccino stesso stimoli l’organismo a produrre da sé gli anticorpi di cui ha bisogno per sconfiggere la malattia, mentre per la vaccinazione passiva mediante iniezione endovenosa si somministrano anticorpi ‘già pronti’ ad attaccare l’amiloide e quindi non necessita dell’intervento del sistema immunitario.
Gli autori hanno preso in rassegna gli studi su modelli animali e gli studi clinici che utilizzano l’intervento terapeutico della vaccinazione anti-amiloide. Alcuni studi clinici hanno dimostrato che l’immunizzazione è in grado di diminuire i livelli di Aβ e di migliorare le funzioni cognitive dei pazienti. Altri studi hanno mostrato come l’immunizzazione sia in grado di migliorare anche la morfologia dei neuroni, in particolare delle terminazioni nervose attraverso cui viaggiano le informazioni, e delle sinapsi e restaurare le funzioni neuronali compromesse. Le sperimentazioni sugli animali si sono rivelate promettenti in entrambi i tipi di vaccinazione: hanno osservato una minore produzione della proteina tossica e migliori prestazioni nei test cognitivi. Anche nella sperimentazione sull’uomo è emerso che i pazienti che avevano ricevuto il vaccino riuscivano ad ottenere migliori risultati nei test che mettevano alla prova la memoria, rispetto a quelli che non lo avevano assunto. Ma nel primo trial clinico umano sul vaccino attivo si sono verificati eventi avversi seri quali tossicità e neuro-infiammazione per cui sono stati sviluppati vaccini di “seconda generazione” passivi, che generano reazioni più mirate con minori effetti collaterali. D’altra parte, sono necessari ulteriori studi per comprendere a pieno i benefici del vaccino e ridurne al minimo gli effetti avversi, per comprenderne la possibile azione combinata con altri farmaci per la demenza, oltre che per individuare la tipologia di pazienti AD più responsivi alla terapia. Gli autori concludono che l’ immunizzazione potrebbe avere un enorme potenziale clinico per il trattamento (e forse anche per la prevenzione) dell’AD. Ad oggi, presso i principali centri di eccellenza per la cura della demenza, sono in corso sperimentazioni farmacologiche con vaccini anti-amiloide di seconda generazione per anticorpi monoclonali con caratteristiche antigeniche tali da evitare lo sviluppo di reazioni infiammatorie. I risultati di queste sperimentazioni forniranno ulteriori dati sulla tossicità dell’accumulo di Aβ nel cervello e dati di efficacia clinica del primo potenziale trattamento per la cura della malattia.